Natività di San Giovanni Battista
Is 49,1-6 – At 13,22-26 – Lc 1,57..80
Dal dolore alla Deesis
Nel corso dell’Anno liturgico vi sono tre “Natività”:
La Natività della Vergine Maria, l’8 settembre,
il Natale del Signore, il 25 dicembre,
e la Natività del Battista, oggi.
Tra i volti santi che contempliamo lungo l’Anno liturgico,
vi sono quindi tre volti che hanno una luminosità del tutto particolare,
a tal punto che l’alba della loro presenza sulla terra va celebrata.
Per tutti gli altri volti santi, si celebra solo il dies Natalis,
la nascita al Cielo,
che ci invita a guardare al loro percorso terreno come modello di santità,
e ad affidarci alla loro intercessione.
I tre volti ci offrono, sì, una luce particolare.
Nel volto di Gesù, Verbo umanato,
nel volto della Madonna e nel volto di Giovanni
traspare non solo l’immagine di Dio
nella loro anima che è Tabernacolo di Grazia,
ma pure la piena somiglianza con Dio.
In modo divino per Gesù.
In modo perfetto ed immacolato per la Madre di Dio.
In modo splendido per Giovanni.
La somiglianza con Dio sta nell’amore.
Sta nella presenza del Mistero Pasquale di Dio nella loro vita.
Il morire d’amore del Figlio verso il Padre risplende in loro.
Sono raffigurati nella Deesis delle chiese d’Oriente
che esprime la loro gloria,
perché sono riuniti dal mistero della Croce,
dal mistero del dolore infinito che sboccia nella gloria.
Vi è Gesù, Figlio di Dio crocifisso come un maledetto
e da Dio Padre abbandonato.
Vi è la Madre dei dolori che nel vertice della sofferenza
rimane ai piedi della Croce.
Vi è Giovanni, l’Amico dello Sposo.
È l’Amico dello Sposo nella gloria
perché prima è l’Amico dello Sposo nel dolore e nell’umiliazione.
È Amico dello Sposo crocifisso
quando dice di sì a lasciare l’oro del Tempio per avventurarsi nel deserto.
È Amico dello Sposo crocifisso
quando acconsente a battezzare Gesù,
pur riconoscendo la sua messianità,
considerandosi indegno di scogliere il laccio dei suoi sandali.
È Amico dello Sposo crocifisso
quando gli rimane fedele allorché non lo salva dalla prigione
e dall’imminente morte.
È per questa ragione che la Liturgia odierna ci ha fatto leggere uno dei Cantici del Servo sofferente che geme:
“Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze.” (Is 49,4)
Non a caso l’icona del Battista ce lo presenta con un bastone in forma di croce.
Gesù, Maria, Giovanni…
Quanta luce traspare da quei volti impregnati di dolore e di gloria!
Da loro impariamo che la nostra più grande dignità
è la nostra partecipazione al Mistero Pasquale che è il Sigillo di Dio.
“Egli sarà grande davanti al Signore”
furono le prime parole dell’Arcangelo Gabriele
quando fece a Zaccaria il ritratto di Giovanni. (Lc 1,15)
È grande perché partecipa così da vicino
al Mistero del dolore e della gloria di Gesù.
Noi stessi siamo “grandi” là dove la nostra vita è crocifissa.
Lo aveva capito Paolo quando affermò:
“Mi vanterò della mia debolezza.” (2 Cor 11,30)
“Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze,
perché dimori in me la potenza di Cristo.” (2 Cor 12,9)
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