XXIII Domenica del tempo ordinario (anno A)
Messa per il 25° della presenza a Firenze delle Fraternità Monastiche di Gerusalemme
[Ez 33,1.7-9; Sal 94; Rm 13,8-10; Mt 18,15-20]
Le letture bibliche proposte dalla liturgia di questa domenica invitano a riflettere sui percorsi della riconciliazione e della comunione, con Dio e con i fratelli. Un tema, questo che ha un particolare rilievo nel contesto culturale presente, che appare invece dominato da impulsi verso la divisione e verso la soggettività individualistica. L’umanità oggi si percepisce più come una massa di individui che come un tessuto articolato di relazioni. E le aspirazioni dei singoli hanno il sopravvento su ogni progetto comune e su ogni preoccupazione solidale.
Ne sono espressione estrema le situazioni di guerra, reale e minacciata, che insanguinano il presente di tanti popoli, a cominciare dalla vicina Ucraina, e oscurano il futuro del pianeta. Ma la frammentazione della convivenza si misura anche nello scadimento dei vincoli sociali, con il prevalere degli interessi privati, di categorie e di fazioni a scapito del bene comune, come pure con l’allentamento dei vincoli familiari e la crisi delle relazioni nella coppia e tra le generazioni. Tutto viene misurato sul raggiungimento dei desideri dei singoli, usando ogni furbizia, la corruzione, fino alla violenza.
A contrastare queste derive si pone la parola di Dio che, nell’affermare la centralità dell’amore del prossimo, come sintesi e pienezza della legge, ne esplicita la strada, invitando a incarnare l’amore vicendevole nel farsi carico gli uni degli altri, come sentinelle del bene – lo propone Dio al profeta – e come mediatori di riconciliazione e di comunione – come invita a fare Gesù.
L’immagine che il Signore ci offre della comunità dei suoi discepoli è quella di un tessuto di relazioni personali, in cui il dialogo e l’ascolto reciproco diventano il presupposto di una vita ordinata e nella pace. Un tessuto di legami che ha come perno e nodo centrale il vincolo con lo stesso Signore, che assicura la sua presenza là dove ci si riunisce nel suo nome, cioè là dove il disegno che la comunità condivide è la sua volontà, quella per il cui compimento si impegna lo stesso Padre che è nei cieli.
Sentirsi comunità di discepoli che operano per il bene di tutti, prima ancora che individui tesi a un proprio disegno di realizzazione di sé, è un fattore essenziale dell’esperienza di fede cristiana, ma è anche il segreto di ogni convivenza umana riuscita, che soffre certamente delle lacerazioni nei contrastanti desideri dei singoli, che comportano inevitabilmente itinerari tra loro divergenti e non poche volte confliggenti, ma raggiunge la pace nel momento in cui ciascuno converge su un bene da tutti riconosciuto come proprio, perché scoperto e accettato come la comune radice di ogni esistenza umana.
Tutto questo trova per noi un’esemplarità e una testimonianza preziosa nelle Fraternità Monastiche di Gerusalemme, che da venticinque anni arricchiscono la vita religiosa della nostra città con la loro presenza orante in questa chiesa della Badia. Siamo qui a ringraziare il Signore per il dono che riceviamo da fratelli e sorelle che si dedicano a tessere di vita spirituale il nostro vissuto quotidiano, come segni della trascendenza nel convulso pulsare della vita sociale della nostra città.
Lo fanno in fedeltà al loro carisma, anzitutto come fraternità, offrendo un concreto esempio di relazioni fraterne come costitutive di comunità che siano segno della volontà di Cristo che i suoi discepoli siano una cosa sola con il Padre, con lui, tra fratelli e sorelle; segno di comunione per un mondo che va sanato dalle sue molteplici divisioni. La fraternità assume poi il connotato monastico che esprime il primato di Dio sulla vita di ciascuno e ciascuna, chiamato e chiamata a essere segno dell’Assoluto tramite una forma di vita vissuta nella castità, nella povertà e nell’obbedienza, testimoni e strumenti dell’amore di Dio, della possibilità di dialogo con lui nella preghiera, dell’ascolto di lui in un contesto di silenzio, di fedeltà al suo mandato di custodire e coltivare il mondo mediante il lavoro, con il cuore aperto e accogliente verso gli uomini e le donne del mondo. Infine, il legame con la città, in cui si riconosce l’immagine della Gerusalemme del cielo, facendosi carico delle fragilità che ancora la segnano nel cammino verso la pienezza del Regno, pronti a condividerne i pesi e a farsi costruttori di ponti verso il Padre e verso gli altri, senza esclusioni.
Ma per vivere come fratelli e sorelle occorre riconoscere di avere uno stesso Padre. Di qui il primato della preghiera, come fonte da cui sgorga ogni carità e comunione. Una preghiera che si mostra incentrata sulla sua forma liturgica, perché è attraverso la dinamica della grazia, che la liturgia offre ai credenti, che questi possono entrare in comunione con Cristo, rivelatore della paternità divina. Una preghiera che si nutre della vita quotidiana, quella dei fratelli e delle sorelle come pure quella di tutti gli uomini e le donne della nostra città. Frutto della preghiera è la carità, quella che edifica la vita monastica come segno di comunione per tutta la Chiesa fiorentina e che si fa premura verso tutte le ferite della convivenza umana attorno a noi. Per una siffatta carità diventa quindi necessario sia il vincolo con la Chiesa locale sia il legame alla vita cittadina.
Di tutto questo vi ringraziamo, ringraziamo voi e chi vi ha preceduto in questi venticinque anni da grazia. Ancor più di voi ringraziamo il Signore, che ha suscitato questo carisma di monachesimo nelle città e che ha ispirato il mio predecessore, il cardinale Silvano Piovanelli, a chiedervi di porre le vostre radici anche a Firenze. Voglia il Signore continuare a benedire voi, la nostra Chiesa, la città di Firenze.
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